sabato 20 febbraio 2010

Da Carmencita al caffè globale



18 febbraio 2010 da Il Sole 24 ore

di Marco Ferrando

Il caffè lui lo preferiva ristretto, con un cucchiaino di zucchero girato a metà. Quando era fuori, se poteva, andava a berlo da Platti, locale storico a cinque minuti dalla sua casa della Crocetta, possibilmente seduto ma se non c'era tempo anche al banco. E quando pensava alle miscele da bar, aveva un sogno: fare bene come Costadoro, un'altra torrefazione torinese.
La tazzina era luogo d'affari ma anche di piacere per Emilio Lavazza, alias Mr Espresso, per quasi 40 anni al timone dell'azienda di famiglia e scomparso martedì sera a Torino (i funerali domani alle 11,30 nella parrocchia dei Santi Angeli Custodi). Classe 1932, cavaliere del lavoro dal 1991 e dottore (honoris causa) dal 1993, come fedelmente riportato dal giornalista de «Il Sole 24 Ore» Mauro Castelli nell'unica intervista catturata negli ultimi 15 anni, per tutti nei corridoi era semplicemente il "signor Emilio"; d'altronde lui, in Lavazza con compiti operativi dal 1955 fino al 2008, i suoi dipendenti li conosceva quasi tutti per nome e cognome, come vuole la miglior scuola del capitalismo familiare italiano. Un capitalismo di cui Lavazza è stato figura di riferimento ma anche profondo innovatore: lo sviluppo tecnologico accompagnato alla fedeltà a un solo prodotto, la crescita dimensionale e all'estero senza cedere alle lusinghe della borsa o alle avances di gruppi stranieri (ci provarono anche i tedeschi della Jacobs) hanno consentito al signor Emilio di prendere in mano l'azienda quando vendeva la metà del suo caffè in Piemonte e di lasciarla forte di un fatturato oltre il miliardo in 90 diversi paesi.
«Al dna di un imprenditore straordinario sapeva unire l'ironia, la giovialità, la capacità di comunicare con la gente», dice Marco Testa, a capo dell'azienda che da più di mezzo secolo cura le campagne pubblicitarie del marchio Lavazza. Non a caso era stato proprio Emilio, appena entrato in fabbrica, a convincere il padre Giuseppe ad affidarsi alle mani sapienti di Armando Testa: insieme, nascono un'amicizia e un sodalizio che prima sbanca su Carosello con Caballero e Carmencita e poi vede Nino Manfredi coniare il memorabile «più lo mandi giù, più ti tira su». Nel 1994, il lancio della campagna ambientata in paradiso, una novità assoluta: «Per la prima eravamo nella nostra sede, nel teatro Cabiria», ricorda Testa. «C'era tutta la famiglia Lavazza schierata insieme con il top management. La campagna, con il richiamo all'aldilà, non era di immediata comprensione ma Emilio non ebbe neanche un sussulto: già durante la proiezione gli luccicavano gli occhi, e alla fine il suo sì fu incondizionato».

Il segreto? «Ha saputo pensare in grande, e immaginare lo sviluppo dell'azienda anche là dove richiedeva di introdurre innovazioni radicali», sintetizza Alfredo Vanni, primo chimico a essere assunto in corso Novara e oggi responsabile R&S. È con lui che Emilio, per più di vent'anni, ha inventato tutte le nuove miscele: «Diamo il via alle danze», diceva, e si partiva con assaggi di 20-25 tazzine alla volta.

Lavazza, marchio conosciuto dal 99% degli italiani, ha chiuso il 2009 con un fatturato di 1,1 miliardi (in linea con il 2008) e un margine operativo del 13%: la borsa resta off limits, le acquisizioni avvengono cash e ci si tiene lontani da operazioni ritenute troppo rischiose, come l'acquisto del Torino Calcio, soluzione per ora destinata a rimanere nei sogni del popolo granata. Al timone c'è la quarta generazione dei Lavazza e la quinta si scalda i muscoli; proprio come voleva Emilio: «Mi piacerebbe – confidava nella sua ultima intervista – che l'azienda continuasse a espandersi seguendo le politiche portate avanti da papà e che tutti, figli e cugini, viaggiassero in perfetta sintonia».

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